Descrizione
Ammettiamolo, il titolo L’intelligenza artificiale non esiste è una provocazione, un dito nell’occhio a chiunque si sia innamorato del mito dei robot che salvano il mondo o, peggio, che lo dominano. Ma eccoci qui, a cullare ancora questa illusione ridicola, fatta di siliconi scintillanti e algoritmi impettiti che ci promettono di fare meglio di noi. E chi può biasimare la gente? Ci siamo svenduti a un’idea confezionata dai venditori di sogni della Silicon Valley: Siri come la nuova Freud, ChatGPT come la reincarnazione di Platone. Tutto falso, ovviamente.
L’intelligenza artificiale non esiste. È un trucco di marketing, una giostra che gira su dati sporchi, pregiudizi umani e una programmazione così fragile che persino un adolescente in un seminterrato potrebbe sabotarla. Non c’è intelligenza, solo imitazione. Non c’è coscienza, solo pattern. Non c’è futuro, solo una versione più lucida del vecchio capitalismo, che ora si traveste da codice binario per farci pagare di più.
E mentre i profeti del digitale ci vendono l’idea che le macchine prenderanno il controllo, noi ci lasciamo dominare da ciò che abbiamo costruito: algoritmi che ci mostrano cosa vogliamo vedere, che ci confermano nei nostri bias e che ci spingono a comprare quella maglietta orribile che il giorno prima avevamo giurato di ignorare. Siamo schiavi, ma sorridiamo mentre ci portano le catene.
Oggi non c’è più Gesù, ma l’algoritmo, e i suoi apostoli sono social media manager e i guru della comunicazione. Ci spiegano con la bava alla bocca come “essere virali”. In pratica, un culto moderno dedicato a Sua Santità l’Algoritmo. È come se ci fosse un Concilio Vaticano 2.0 ogni settimana: “Questa è la via. Cambia tutto, fai caroselli, usa meme, no aspetta, ora i reel devono durare 15 secondi, no meglio 7, ma se vai oltre 30 sei finito.” E non importano gli errori di grammatica, le declinazioni sbagliate, gli orrori di ortografia, anzi, mai correggerli perché l’algoritmo non gradisce.
Poca qualità? Che fa? quel che conta è la qualità, vendi di più. Bravo, ti sei guadagnato un pollice in su da un robot che conta solo i numeri. E tutti dietro a correre, a spremere creatività di bassa lega per confezionare un format che, ammettiamolo, ci rende tutti uguali.
E che importa se l’intelligenza artificiale mette il reggiseno alla Venere di Milo e le mutande al David? Chi se ne frega se si rifiuta di recitare Omero perché rappresenta il patriarcato, o se abolisce la satira perché il politicamente scorretto potrebbe urtare qualche anima delicata? Tanto siamo già dentro un grande Truman Show digitale, dove Meta cancella le opere d’arte “poco inclusive” e TikTok decide quali idee possono circolare, ma lascia i calippotour in prima fila, perché il trash vende e il pensiero no.
La libertà d’espressione è ormai un concetto vintage, roba da collezionisti. Qui non si discute: si regola, si filtra, si conforma. Il futuro che ci hanno promesso è uno spazio sterile, ripulito da ogni contraddizione, dove tutto è approvato solo se piace all’algoritmo. Ma hey, almeno il David è “vestito”, no?
Bene, parliamoci chiaro. Questo libro non è contro. Perché chi vi scrive è stato il primo al mondo a utilizzare le nuove tecnologie in un romanzo che, grazie all’intelligenza artificiale, integrava arte NFT e pagine animate in realtà aumentata, sia nella trama che nelle foto. Credo nelle grandi potenzialità di quella che erroneamente chiamiamo “intelligenza artificiale”. Ma, attenzione: dobbiamo essere noi al comando. Non possiamo permetterci di delegare alla macchina il controllo delle nostre scelte, né accettare passivamente i pericoli dell’algoritmograzia.
Oggi l’AI non è un cervello, ma una geniale trovata di marketing. Eppure, ci siamo già abituati a fidarci ciecamente, dimenticando che dobbiamo difendere cose fondamentali: il diritto d’autore, la privacy, la libertà di pensiero. Non sto dicendo che dobbiamo rifiutare queste tecnologie. Dico che dobbiamo comprenderle, conoscerle a fondo e usarle con consapevolezza, senza cadere nell’illusione che siano più intelligenti di noi. Perché non lo sono.
Pensate al motore a vapore. All’inizio nessuno voleva comprarlo: la parola stessa era respingente, tecnica, fredda. Poi qualcuno ebbe l’idea geniale di chiamarlo “cavallo a vapore”. Boom, le vendite decollarono. E oggi? È successo lo stesso con gli algoritmi. Ricordate le app che ci facevano invecchiare in pochi clic? Non erano magia: era sempre lo stesso algoritmo. Ma ora lo chiamiamo “AI” e, improvvisamente, sembra una rivoluzione. Perché? Perché “algoritmo” non vende, mentre “intelligenza artificiale” sì.
In queste pagine troverete esempi concreti ed esercizi pratici per scoprire quanto questa prefazione sia vera. Non voglio demonizzare, voglio informarvi. Perché l’intelligenza artificiale, quella vera, non esiste. Ma la vostra intelligenza sì. E questa fa tutta la differenza.